La Cina aveva già informazioni sul Covid nel 2019?

Quello che traspare da alcune indiscrezioni lasciate trapelare dal Wall Street Journal potrebbe riscrivere le dinamiche iniziali della pandemia da Covid-19, oltre che creare verosimilmente anche alcune controversie a livello geopolitico e internazionale.

Secondo la testata suddetta la Cina sapeva del Covid-19, ma avrebbe taciuto per oltre due settimane prima di rivelare al mondo intero i dettagli del virus mortale.

La Cina sapeva già del Covid-19? Come sono state ottenute informazioni al riguardo?

Le informazioni che sono state rese pubbliche provengono da un’inchiesta portata avanti su alcuni documenti in possesso del Dipartimento di Sanità degli Stati Uniti d’America e svelerebbero come da Pechino la scoperta sia stata tenuta nascosta per settimane.

Questo occultamento avrebbe ritardato sicuramente l’attuazione dei piani d’emergenza nei confronti del dilagare dell’epidemia che secondo le fonti cinesi dell’epoca sarebbe stato imputato a un agente virale di causa sconosciuta. Ma non era così, perché i ricercatori cinesi già sapevano, almeno secondo quanto affermato dal Wall Street Journal.

Cosa emerge dall’inchiesta messa a punto dal Wall Street Journal?

Grazie allo studio dettagliato dei documenti il Wall Street Journal è riuscito a individuare un passaggio criptico nei documenti, in cui Pechino avrebbe occultato alcune informazioni. L’evidenza di un passaggio volutamente nascosto da parte dei cinesi potrebbe essere già sufficiente per sospettare la presenza di irregolarità.

Secondo il Wall Street Journal i ricercatori cinesi, che già da settimane assistevano alla crescita dei contagi del Covid, ancora non definito tale, si erano messi al lavoro per cercare di capire l’origine del virus mortale.

Un’analisi, questa, che ricostruirebbe una dinamica completamente diversa dei primi momenti della pandemia in cui contrariamente a quanto fosse affermato all’esterno (ossia che la conoscenza sull’agente virale fosse praticamente inesistente), i ricercatori cinesi isolarono e mapparono il Covid-19 già alla fine di dicembre 2019, almeno due settimane prima che Pechino rivelasse al mondo i dettagli del virus mortale.

Quali evidenze specifiche sono state raccolte?

Sempre secondo il Wall Street journal, un gruppo di ricerca cinese potrebbe aver caricato la sequenza del genoma del Sars-Cov-2 in un database gestito dal governo americano il 28 dicembre del 2019, tuttavia l’effettiva comunicazione condivisione della notizia da parte della Cina arrivò solo l’11 gennaio 2020, grazie al contributo del gruppo della professoressa Lili Ren dell’Institute of Pathogen Biology di Pechino. Questo avrebbe ritardato di ben due settimane i primi interventi.

Dobbiamo altresì aggiungere con chiarezza che nonostante le nuove informazioni, non è possibile far luce sul dibattito se il coronavirus sia emerso da un animale infetto o da una fuga di laboratorio.

Le due settimane in più, di certo, avrebbero comunque potuto rivelarsi cruciali per aiutare la comunità medica internazionale a individuare come si diffonde il Covid-19, a sviluppare le difese mediche e ad avviare un eventuale vaccino.

Infatti, mentre dalla Cina tutto era tenuto nascosto, alla fine del 2019 scienziati e governi di tutto il mondo erano intenti a fare a gara per comprendere la misteriosa malattia che poi avrebbero chiamato Covid-19 e che avrebbe ucciso milioni di persone.

Cosa si intende per isolamento di un ceppo virale?

L’isolamento di un virus è un processo complesso che richiede competenze scientifiche molto avanzate e una strumentazione specializzata che permetta di svolgere i protocolli con efficacia, ma soprattutto, anche con l’adeguato livello di sicurezza.

Il virus in questione è il Sars-Cov-2, ossia l’agente eziologico del Covid-19. Da un punto di vista procedurale l’isolamento di un virus è caratterizzato da diverse fasi di ricerca e analisi applicando nozioni relative al campo della virologia e della microbiologia.

In un primo momento i ricercatori dovranno raccogliere campioni biologici da individui infetti, come secrezioni respiratorie o campioni di tessuti. Questi campioni saranno quindi sottoposti a varie tecniche di laboratorio per concentrare e purificare eventuali particelle virali.

La metodologia d’elezione, e probabilmente anche quella più comune per l’isolamento di un virus è quella che si serve di colture cellulari, in cui i campioni contenenti il patogeno vengono inoculati in cellule ospiti in coltura.

Se il virus è presente nel campione, infetterà le cellule, permettendo ai ricercatori di osservare e studiare la sua replicazione. Successivamente, il virus può essere purificato dalle cellule ospiti per ottenere una popolazione virale più concentrata. L’operatore può osservare la crescita, e quindi la presenza del virus nel campione iniziale, grazie alle modificazioni morfologiche sulle colture dovute all’effetto citotossico del virus.

Cos’è e come si ottiene un sequenziamento di un genoma virale?

Le moderne tecniche di biologia molecolare e di genomica permettono di identificare e sequenziare il materiale genetico virale. Questo approccio è particolarmente utile per determinare la struttura genetica del virus e contribuire alla sua caratterizzazione.

Nel caso del Covid-19, la sequenza genetica del virus è stata cruciale per poter fronteggiare la pandemia, in quanto i dati genomici disponibili hanno permesso di monitorare continuamente l’evoluzione delle varianti, inoltre hanno gettato le basi teoriche utili per lo sviluppo dei vaccini.

Sequenziare un virus significa determinare l’ordine esatto delle basi azotate nel suo materiale genetico, che è costituito da RNA nel caso del Covid-19. Questo processo fornisce informazioni dettagliate sulla struttura genetica del virus, facilitando la comprensione della sua biologia e la progettazione di approcci terapeutici o vaccini mirati.

Fonti

https://www.wsj.com/world/china/chinese-lab-mapped-deadly-coronavirus-two-weeks-before-beijing-told-the-world-documents-show-9bca8865

 

 

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