Giacomo Leopardi: di quale malattia soffriva e perché morì giovane?

Giacomo Leopardi moriva a Napoli il 14 giugno 1837, poco prima di compiere trentanove anni. Il poeta, da tempo sofferente di gravi attacchi d’asma, si sentì male quello stesso pomeriggio attorno alle cinque poco dopo aver consumato il pranzo.

Secondo la testimonianza dell’amico fidato Antonio Ranieri, riportata nel libro Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi (SE editore, Milano, 2005), il poeta si spense attorno alle nove di sera fra le sue braccia. Stando alle fonti biografiche le sue ultime parole furono: “Addio, Totonno, non veggo più luce“.

Le ipotesi sulle cause della morte di Giacomo Leopardi sono numerose e nessuna è certa, in quanto né il corpo né i suoi resti furono ritrovati nella tomba indicata da Ranieri. Tra le più accreditate troviamo la pericardite acuta con conseguente scompenso cardiaco, dovuto a problemi polmonari e reumatici cronici. Il referto ufficiale della morte, diffuso da Antonio Ranieri, parlava invece di “idropisia” o idropericardio, ovvero un edema polmonare acuto, che sarebbe plausibile dati i problemi respiratori che affliggevano il poeta. Secondo un’altra ipotesi, la morte di Leopardi sarebbe in realtà sopraggiunta a causa di un’infezione di colera contratta durante un soggiorno alle terme.

Quel che è certo è che la cagionevole salute oppresse il poeta di Recanati per tutto il corso della sua esistenza, costringendolo a una vita ritirata e solitaria. Ma di quale malattia soffriva Giacomo Leopardi?

Cerchiamo di seguito di approfondire gli studi sulla malattia di cui era affetto il grande poeta che potrebbe aver contribuito alla sua morte.

La malattia di Giacomo Leopardi

Sono state formulate varie ipotesi sulle malattie di cui soffriva Leopardi e postulate diverse teorie sulle cause della sua morte prematura.

Si ipotizza in particolare che il poeta di Recanati possa essere stato colpito da spondilite anchilosante giovanile, da deformità vertebrali condizionanti, da uveite recidivante-remittente, da problemi alle vie urinarie e alla vista e da artrite acuta.

La deformità toracica, come complicanza della spondilite anchilosante giovanile, potrebbe aver causato una progressiva insufficienza cardio-respiratoria, aggravata dalle complicazioni bronchiali e polmonari, fino a provocare la morte causata da un’insufficienza cardiaca acuta del ventricolo destro.

Il riconoscimento di una causa fisica della malattia di Leopardi contribuisce a rivalutare il suo “pessimismo cosmico” come espressione originale del pensiero del poeta, portando così a una rivalutazione generale della figura di uno dei più importanti esponenti della letteratura del XIX secolo.

Giacomo Leopardi aveva la Spondilite Anchilosante?

Un interessante studio a proposito della malattia di Giacomo Leopardi è stato condotto da Erik Sganzerla, medico monzese direttore del reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale San Gerardo e professore associato all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Sganzerla ha pubblicato l’esito delle sue ricerche in un saggio, intitolato Malattia e morte di Giacomo Leopardi, edito da BookTime nel 2016.

Secondo le deduzioni del dottor Sganzerla, Leopardi soffriva di una rara patologia genetica: la Spondilite Anchilosante o morbo di Bechterew.

Analizzando il vasto epistolario leopardiano, il professore è andato alla ricerca dei vari indizi clinici lasciati da Leopardi nelle lettere in cui racconta i suoi problemi di salute. Il poeta nelle lettere spesso lamentava di soffrire disturbi intestinali, uniti a complicanze polmonari e cardiopolmonari. Anziché pensare a più patologie separate, il dottor Sganzerla ha ricondotto tutte queste complicanze a un unico quadro clinico.

Dall’analisi dell’epistolario scopriamo che Leopardi non nacque fragile e gobbo. Il fratello Carlo infatti lo descrive come un bambino agile e vivace,  la deformità insorse in seguito. Lo conferma una lettera del marchese Filippo Solari che scrive di aver lasciato Giacomo di circa 16 anni sano e dritto e di averlo ritrovato dopo 5 anni  “consunto e scontorto”. La deformità spinale, deduce il dottor Sganzerla, colpì il poeta nell’arco dell’adolescenza influenzandone i tratti caratteriali.

Le cause delle malattie di Leopardi sarebbero dunque causate da un unico meccanismo degeneratore: una patologia genetica, denominata Spondilite Anchilosante. Scopriamo di che si tratta.

Cos’è la Spondilite Anchilosante

La Spondilite Anchilosante è una patologia reumatica infiammatoria cronica e progressiva che colpisce la colonna vertebrale, rendendola rigida e causando anche difficoltà nei movimenti.

La malattia colpisce generalmente soggetti giovani, con un picco tra i 15 e i 30 anni d’età.  Si tratta di una patologia molto rara che ha un’incidenza media del 0,25-1% sulla popolazione europea. Si manifesta con dolori al rachide e infiammazioni. Nelle forme più gravi la colonna vertebrale si fonde sino a comporre una struttura ossea unica, che impedisce al paziente di compiere i gesti motori più semplici.

Le cause della malattia sono ancora incerte, tuttavia si ritiene che il responsabile della sua insorgenza sia un gene coinvolto nell’attivazione del sistema immunitario.

A differenza dei tempi in cui visse Leopardi oggi la patologia può essere curata, soprattutto se riconosciuta in fase precoce. La progressione della malattia è lenta e con le attuali terapie farmacologiche può essere tenuta sotto controllo. Nei casi più gravi si può anche considerare l’approccio chirurgico con un intervento al rachide.

Giacomo Leopardi era depresso?

Gli studi compiuti dal dottor Sganzerla gettano anche una nuova luce su uno degli aspetti considerati predominanti nelle biografie dedicate a Leopardi: la depressione del poeta. Afferma il medico di Monza che in realtà Leopardi non era depresso, soltanto malato. Era infatti un uomo pieno di progetti che, nonostante l’ostacolo della sua condizione fisica, seppe creare moltissimo. Forse la malattia influenzò alcuni tratti del carattere del poeta, ma non ne spense la voglia di vivere.

Quando la morte lo colse, improvvisamente a Napoli, Giacomo Leopardi aveva ancora fame di vita e la sua mente era come un’officina in perenne fermento. Scrive Antonio Ranieri che il malore fatale colse Leopardi, quel pomeriggio del 14 giugno, mentre il Conte di Recanati si apprestava a salire in carrozza. Stava per andare a fare una gita, alla Villa Carafa d’Andria Ferrigni, come programmato, pregustando già “future veglie campestri”. Non giunse mai a destinazione.

Antonio Ranieri conclude la sua accorata commemorazione affermando che Leopardi si spense sorridendo tra le braccia del suo più caro amico che lo pianse senza fine.

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