Avelumab riduce del 33% il rischio di morte per tumore triplo negativo alla mammella

Gli anticorpi, o immunoglobuline, sono molecole proteiche prodotte dalle cellule del sistema immunitario, nella fattispecie i linfociti B, come risposta alla presenza di antigeni estranei appartenenti a determinati tipi di patogeni come batteri o virus.

Certe volte, il sistema immunitario può identificare in maniera errata i propri tessuti come sorgente di antigeni estranei, producendo autoanticorpi che reagiscono contro il tessuto stesso portando alla manifestazione di patologie autoimmuni come l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla.

Gli anticorpi possono anche essere prodotti in maniera semi-artificiale, grazie a linee cellulari linfocitarie: queste immunoglobuline sono progettate in modo da essere dirette contro un tipo specifico di antigene, per questo vengono chiamati anticorpi monoclonali.

Anticorpi monoclonali: cosa sono, quanti tipi ne esistono e come vengono prodotti?

Gli anticorpi monoclonali sono tipi specifici di immunoglobuline prodotte in laboratorio.

Questi vengono prodotti da linee cellulari particolari, ottenute dalla fusione di linfociti B estratti dalla milza del topo con cellule tumorali del sangue (cellule di mieloma): questo fenomeno porta alla formazione di cellule ibride in grado di produrre una linea specifica di anticorpi diretti contro un solo specifico antigeni, di fatto si tratta di anticorpi che sono dei “cloni” l’uno dell’altro, da qui il nome di “anticorpi monoclonali”.

Esistono quattro tipi principali di anticorpi monoclonali:

  • Murini (con desinenza “omab”): Derivati interamente da cellule di topo, possono causare reazioni allergiche.
  • Chimerici (con desinenza “ximab”): Combinano parti di anticorpi murini con proteine umane, riducendo il rischio di allergie.
  • Umanizzati (con desinenza “zumab”): Principalmente derivati da cellule umane, con solo la regione di legame all’antigene proveniente da cellule di topo.
  • Umani ( on desinenza “umab”): Derivati interamente da cellule umane.

Per cosa possono essere usati gli anticorpi monoclonali?

In campo diagnostico gli anticorpi monoclonali possono essere usati per diagnosticare la presenza di specifici antigeni.
Possono essere inoltre usati per individuare antigeni di agenti infettivi o anche marker tumorali.

Inoltre, trovano impiego nei kit diagnostici domestici, come i test di gravidanza.

Anticorpi monoclonali come strumento terapeutico: come sono usati?

Gli anticorpi monoclonali possono essere usati in campo terapeutico in base alle loro attività specifiche.

  • Attività antinfiammatoria: mirano a sostanze coinvolte nell’infiammazione, come il TNF-α, e sono utilizzati per trattare malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide e psoriasica. Esempi includono infliximab e adalimumab.
  • Attività immunosoppressiva: in questo caso vengono usati per la soppressione del sistema immunitario grazie al loro bersagliamento specifico di linfociti B o T o altre proteine chiave come l’interleuchina-2 Sono usati per trattare malattie autoimmuni e prevenire il rigetto degli organi trapiantati. Esempi includono rituximab, basiliximab e omalizumab.
  • Attività antitumorale: Gli anticorpi monoclonali progettati per terapie anti-tumorali riconoscono e si legano a fattori cruciali per lo sviluppo della neoplasia oppure possono essere usati per veicolare farmaci direttamente alle cellule tumorali e massimizzare il loro effetto.
    Esempi includono trastuzumab, rituximab, cetuximab e bevacizumab.

Quali sono gli effetti collaterali di un farmaco composto da anticorpi monoclonali?

Gli effetti collaterali comuni degli anticorpi monoclonali possono includere reaioni allergiche, sintomi influenzali, nausea, diarrea, abbassamento della pressione sanguigna.
Gli effetti collaterali gravi, sebbene rari, possono includere reazioni all’infusione, anemia, problemi cardiaci, polmonari, cutanei, e emorragie interne.

Nuovo studio sul carcinoma mammario triplo negativo: l’utilizzo di un anticorpo monoclonale riduce del 34% il rischio di morte

Durante l’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) sono state presentate evidenze scientifiche di uno studio sull’uso dell’immunoterapia nel tumore al seno.

In maniera particolare, l’uso di avelumab, uno specifico anticorpo monoclonale, dopo l’intervento chirurgico, in pazienti con carcinoma mammario triplo negativo precoce ha mostrato la capacità di ridurre del 34%.
La terapia con avelumab ha diminuito del 30% lo sviluppo di metastasi in polmoni, fegato e cervello.

Questo studio internazionale è stato coordinato dall’Università di Padova e risulta essere il primo lavoro in assoluto a livello globale che ha preso in considerazione l’immunoterapia dopo l’utilizzo di terapia con chemioterapici neo-adiuvanti.
Lo studio ha coinvolto 60 centri oncologici italiani e 6 strutture nel regno Unito con un totale di 477 pazienti.

Quali prospettive ci offrono i risultati di questo studio?

Il carcinoma mammario triplo negativo è una neoplasia molto rilevante da un punto di vista epidemiologico: in Italia rappresenta il 15% delle diagnosi complessive, con 8300 nuovi casi ogni anno.

In questo studio sono state reclutate pazienti con tumore precoce con alto rischio, di cui, tra queste, l’80% presentava un residuo di neoplasia dopo il trattamento iniziale con chemioterapia adiuvante, comunque somministrata dopo l’intervento, le quali sono state sottoposte a terapia con avelumab.

Le pazienti sono state divise in due gruppi omogenei dei quali uno ha seguito per un anno la terapia con avelumab, somministrato per via endovenosa ogni 15 giorni, mentre l’altro ha effettuato solo controlli periodici.

I risultati ottenuti sono stati positivi, in quanto è stata registrata una sopravvivenza globale a 3 anni maggiore dell’8,5% nel gruppo trattato rispetto al controllo.
La nuova terapia è risultata generalmente ben tollerata, con poche tossicità e oltre il 70% dei casi ha completato il trattamento senza problemi.

Questo studio ci dimostra come l’arsenale terapeutico contro il tumore mammario si stia ampliando. In questo l’immunoterapia si sta dimostrando una prospettiva molto interessante anche per i casi più gravi di carcinoma mammario.

A riprova di ciò attualmente è stato già approvato un altro farmaco immunoterapico sia come terapia neoadiuvante che post-neoadiuvante, e si attendono nuove ricerche cliniche per valutarne ulteriori potenzialità.

L’immunoterapia, con farmaci come l’avelumab, dimostra di poter migliorare la sopravvivenza e la qualità della vita delle pazienti, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche e a ulteriori progressi nella lotta contro il tumore al seno.

Fonti

https://dailynews.ascopubs.org/do/a-brave-adjuvant-immunotherapy-prolongs-overall-survival-patients-high-risk-early-stage

 

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-del-seno

 

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