Favismo: cos’è, sintomi, diagnosi e cosa evitare (farmaci inclusi)

Uno degli alimenti che si può trovare in questa stagione nei supermercati sono le fave, legumi conosciuti fin dall’antichità. Purtroppo, non tutti possono inserirle nella propria dieta perché alcune persone, se le assumono, rischiano l’anemia acuta a causa della carenza di un enzima fondamentale per la sopravvivenza e il funzionamento dei globuli rossi. Ecco più in dettaglio in cosa consiste il favismo o la “malattie delle fave”, un altro nome con cui viene chiamata, i sintomi a cui fare attenzione, ma anche diagnosi, trattamento e alimenti e farmaci da evitare.

Favismo: cos’è e quali sono le cause

Il favismo è una malattia genetica ereditaria causata dalla carenza dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD). È trasmessa come carattere recessivo collegato al cromosoma X, per questo motivo i maschi sono più colpiti rispetto alle femmine, che spesso sono portatrici sane.

La carenza dell’enzima G6DP rappresenta una tra le più frequenti carenze enzimatiche mondiali, considerando che colpisce circa 400 milioni di persone. Da non confondere con l’allergia alle fave, il favismo è una malattia piuttosto diffusa non solo in Medio Oriente e Asia meridionale, ma anche nel bacino del mediterraneo, inclusa l’Italia. Infatti, proprio in Italia le aree con maggiore frequenza di fabii (persone affette da favismo) sono la Sardegna, il Delta del Po e parte del Meridione. L’introduzione dello screening neonatale e dell’educazione sanitaria ha permesso di individuare velocemente e fin da piccoli le persone affette da favismo, pericoloso soprattutto nei bambini.

Favismo: segnali e sintomi a cui fare attenzione

L’anemia acuta deriva dalla crisi emolitica e si manifesta da poche ore fino a 1-3 giorni dopo l’ingestione delle fave.
I segni e sintomi a cui fare attenzione sono:

  • stanchezza
  • febbre
  • tachicardia (battito del cuore accelerato)
  • dolori addominali
  • urine scure
  • ittero, cioè una colorazione giallastra della pelle e della sclera oculare (la parte parte bianca degli occhi)

Come diagnosticare e trattare il favismo

Per diagnosticare il favismo è necessario misurare l’attività dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi nei globuli rossi. Sarà l’ematologo, lo specialista di riferimento in questo caso, il punto di riferimento a cui rivolgersi per discutere della problematica e sapere come comportarsi in caso di positività alla malattia.

Al momento non esiste una cura specifica. Durante la fase acuta si possono attuare trattamenti di supporto per superare la crisi tra cui il ricorso a trasfusioni nei casi più gravi.
Di certo, le persone fabiche devono astenersi dal mangiare le fave soprattutto crude. Non solo, infatti, è bene che i pazienti evitino anche alcuni farmaci o sostanze ad azione ossidante intracellulare. Si ricorda che le crisi emolitiche possono verificarsi durante tutto l’arco di vita di una persona con carenza di G6PD e non averne mai avute in passato non riduce il rischio che possano comparire. Inoltre, la crisi emolitica non avviene necessariamente dopo ogni esposizione ad agenti ossidanti, perché l’emolisi è dose-dipendente, cioè si manifesta in base alla quantità di agente ossidante assunta.

Alimenti e farmaci da evitare per chi soffre di favismo

È buona norma confrontarsi con il proprio specialista e chiedere quali alimenti e quali farmaci sarebbe bene evitare. Chi soffre di favismo dovrebbe infatti assolutamente evitare di ingerire:

  • Fave
  • Alcuni farmaci, tra i quali: antipiretici, analgesici, antimalarici, salicilici, sulfamidici (per un elenco più dettagliato è possibile consultare anche qui e qui).

In via precauzionale per molto tempo si è anche consigliato di evitare tutti i legumi, compresa la soia, ma la precauzione si è rivelata assolutamente non necessaria. Riporta infatti il prof. Lucio Luzzatto, specialista in ematologia:

“Oggi invece sappiamo che i fattori scatenanti dell’emolisi nel favismo sono due sostanze che hanno nomi e struttura chimica ben precisa: vicina e convicina. Queste sostanze sono presenti solo nelle fave; gli altri legumi non le contengono, o le contengono solo in tracce trascurabili.”

A chi domanda circa il pericolo di esposizione ai pollini delle piantagioni o ai baccelli di fave fresche, l’esperto spiega ancora che la vicina e la convicina non sono sostanze volatili, per cui la loro inalazione non è possibile. Invece, è possibile che qualcuno sia allergico al polline, ma ciò non causa una crisi emolitica e non ha a che fare con l’enzimopenia G6PD. Anche Verbena Hybrida, mirtilli o vino rosso, riferisce il professore, non contengono i componenti che causano l’emolisi, non è quindi necessario eliminarli dalla dieta.

Piselli e fagiolini possono essere mangiati da affetti da favismo? È del 2008 il parere della Commissione unica per la dietetica e la nutrizione (CUDN), riportante le seguenti conclusioni:

  • l’ingestione di piselli e fagiolini, o l’inalazione di loro pollini, non possono essere considerate fattore scatenante di crisi emolitiche, quali quelle riconducibili al favismo;

  • il favismo, che si caratterizza per un deficit dell’enzima G6PD, può provocare con un meccanismo non ancora del tutto chiarito crisi emolitiche collegate all’ingestione di sostanze presenti nelle fave, in particolare vicina e convicina, beta-glucosidi della pirimidina, ma tali sostanze presenti nei cotiledoni della fava non sono presenti nei fiori e non sono volatili;

  • l’inalazione di polline nei campi di fave in fiore può provocare malessere nei soggetti esposti affetti da deficit di G6PD, ma non ci sono prove sufficienti a correlare l’inalazione di polline con lo scatenamento delle crisi emolitiche.

Fonti:
Istituto Superiore di Sanità- Favismo
Favismo
“Favism and Glucose-6-Phosphate Dehydrogenase Deficiency”, L. Luzzatto, P. Arese;
DOI: 10.1056/NEJMra1708111

Condividi su: