Hill of Vision: chi è Mario Capecchi, il Premio Nobel per la Medicina protagonista del film

Dal 16 giugno arriva nelle sale italiane Hill of Vision, il film di Roberto Faenza dedicato all’incredibile vita di Mario Capecchi, il genetista italo-americano vincitore del premio Nobel per la Medicina nel 2007.

L’esistenza del dottor Capecchi ricorda in tutto e per tutto una pellicola cinematografica grazie ai suoi numerosi e inattesi colpi di scena. Classe 1937, Capecchi ha vissuto un’infanzia difficile di abbandono e privazione salvo poi riscattarsi con l’acume del suo ingegno, da bambino orfano e malnutrito a tesista di James Watson, e così via sino al Nobel per la medicina grazie suoi studi sul gene targeting. La vita, a volte, sa essere magnanima e a Mario Capecchi ha riservato un imprevisto lieto fine.

Scopriamo più nel dettaglio l’incredibile storia vera del dottor Capecchi, che presto arriverà nei cinema italiani.

Mario Capecchi: l’infanzia

Capecchi nacque a Verona il 6 ottobre 1937. Il padre, Luciano Capecchi, era un pilota militare mentre la madre Lucy Ramberg era una poetessa e docente universitaria di origini americane. I genitori, non sposati, furono presto divisi dai venti di guerra, che misero in seria discussione i loro ideali: il padre si rivelò essere un convinto seguace di Mussolini, mentre la giovane Lucy già si batteva con tutte le proprie forze nella militanza antifascista.

Nel 1940 Luciano Capecchi, inviato in Libia come mitragliere contraereo per combattere la guerra coloniale fascista, precipitò con il suo velivolo ed entrò nella lunga lista dei dispersi. Nel frattempo Lucy Ramberg si era trasferita con il figlio in Trentino Alto Adige, a Costalovara di Renon. Qui la donna diede alla luce un’altra figlia, Marlene, avuta da un altro uomo: non potendo mantenerla fu costretta a darla in adozione a una coppia del posto. In seguito la nuova famiglia di Marlene si trasferì in Austria e il piccolo Mario poté ritrovare la sorella soltanto nel 2007 grazie alle ricerche di alcuni giornalisti.

Nel 1941 Lucy Ramberg fu arrestata e deportata a Dachau per le sue attività contro il regime nazista tedesco. A soli cinque anni, Mario Capecchi si ritrovò orfano e solo. Fu affidato a una famiglia di contadini sudtirolesi che tuttavia non poté provvedere a lungo al suo mantenimento. Iniziarono così i suoi anni di vagabondaggio in mezzo a una banda di ragazzi di strada. Novello Oliver Twist, il piccolo Mario si ritrovò a contare solo su se stesso ingaggiando una guerra per la sopravvivenza.

Il sogno americano

Malnutrito, povero, si ammalò di tifo. A salvarlo fu la carità di un uomo che lo affidò a un ospedale di Reggio Emilia. Qui, alcuni anni dopo, Mario ritrovò la madre, sopravvissuta al campo di concentramento ma con la mente irrimediabilmente compromessa dall’esperienza. Lucy Ramberg, terminata la guerra, si era messa a cercare il figlio disperatamente e dopo mille peripezie i suoi sforzi furono ricompensati.

Nel 1946 madre e figlio si imbarcarono per gli Stati Uniti, dove furono accolti da Edward Ramberg, fratello di Lucy, e dalla moglie Sarah che li portarono a vivere con loro nella comunità Quacchera di Bryn Gweled, in Pennsylvania. Volevano voltare pagina, lasciarsi l’incubo della guerra alle spalle, e il Nuovo Mondo prometteva tutto questo: dava opportunità.

Per Mario Capecchi, in America, iniziò una nuova vita. Aveva solo otto anni quando partì e non parlava una parola d’inglese.

Mario Capecchi e il premio Nobel per la medicina

Il Nuovo Mondo diede alla luce anche un nuovo Mario. Da bambino orfano e malnutrito a studente provetto. Capecchi si applicò con successo negli studi e, terminata la High School, cominciò l’Università. Dopo un breve periodo a Scienze Politiche decise di dedicarsi allo studio della chimica e della fisica, ma si appassionò alla biologia molecolare.

Durante il dottorato in biofisica a Harvard conobbe James Watson, premio Nobel per la scoperta del DNA, che divenne il relatore della sua tesi. Fu l’incontro che avrebbe cambiato la storia della sua vita.

Lo stesso Watson riconobbe i meriti del giovane Capecchi, che già prometteva di essere uno dei migliori scienziati della sua generazione. Nel 1971 il giovane dottorando divenne professore associato della Harvard School of Medicine. Nessuno guardando il dottor Capecchi avrebbe più potuto individuare i segni del suo oscuro passato: in quel brillante genetista non c’erano più i segni né le sofferenze del bambino orfano e malnutrito che vagava per le strade dell’Italia in guerra. Per i suoi studi ottenne numerosi riconoscimenti, anche in Italia, come la laurea honoris causa in biotecnologie mediche all’Università di Bologna.

Nel 2007, insieme ai colleghi Martin Evans e Oliver Smithies, è stato insignito del Premio Nobel per la Medicina per lo sviluppo delle tecniche dette di “gene targeting”. L’uso di questa tecnica biotecnologica consente di eliminare uno specifico gene, rimuoverne parti o introdurvi mutazioni per studiarne le funzioni analizzando le conseguenze fenotipiche della perdita/modifica della sequenza. Le modifiche del gene possono essere permanenti o condizionali e hanno dato un grande contributo alla ricerca biomedica.

Hill of Vision: il film di Roberto Faenza su Mario Capecchi

Il regista Roberto Faenza scoprì la storia di Mario Capecchi grazie a un giornale. Lesse della strana  decisione del premio Nobel di donare al museo di Kyoto il cappello che aveva ricevuto in dono dalla madre, diventato simbolo di ciò che aveva vissuto. Incuriosito, il regista ha quindi voluto approfondire la vita di Capecchi, nella quale ha colto un “profondo messaggio di speranza”. Da qui la decisione di trasporla in un film grazie al supporto della moglie Elda Ferri, produttrice.

Nasce così Hill of Vision, una pellicola che è la cronaca dell’infanzia di Mario Capecchi e arriverà a metà giugno nelle sale cinematografiche italiane. Il film di Faenza si concentra solo sulla prima parte della vita di Capecchi, si ferma quindi a un passo dal suo successo interrompendosi con l’approdo del bambino in America. Non mostra il lieto fine ma lo lascia immaginare, come si addice, del resto, alle grandi narrazioni.

Immagine di copertina Credits:Thaler Tamás, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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