Giornata mondiale contro l’AIDS: risposte alle domande più frequenti e falsi miti su HIV e AIDS

Oggi, 1 dicembre, ricorre la Giornata mondiale contro l’AIDS, una malattia che fino a oggi ha causato il decesso di oltre 30 milioni di persone nel mondo. A quarant’anni esatti dalla prima diagnosi eseguita negli USA, l’infezione da virus HIV rappresenta ancora una delle grandi sfide per la Medicina, essendo una patologia ancora priva di una cura definitiva.

Come riportano i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2020 in Italia sono stati accertati 1.303 nuovi casi di contagio da HIV, mentre i pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di sindrome da immunodeficienza acquisita sono stati 352.

Di seguito sono riportate alcune importanti informazioni sull’AIDS e i falsi miti più diffusi attorno a questa patologia.

AIDS: domande e risposte

Ecco le risposte ad alcuni dei principali quesiti sulla sindrome da immunodeficienza acquisita.

HIV e AIDS sono la stessa cosa?

HIV e AIDS non sono sinonimi, poiché il primo acronimo indica l’agente patogeno responsabile della malattia (Human Immunodeficiency Virus, il virus dell’Immunodeficienza umana), mentre il secondo è il nome della sindrome vera e propria. L’AIDS è la fase avanzata dell’infezione da HIV che si verifica quando il sistema immunitario del corpo è gravemente danneggiato a causa del virus. Una persona sieropositiva sviluppa la malattia nel momento in cui le cellule CD4+ diminuiscono di numero in maniera significativa (solitamente sotto le 200 cellule per mm3 di sangue), elemento che causa il progressivo indebolimento del sistema immunitario del paziente, che non è più capace di combattere anche le infezioni batteriche e virali più lievi. Indipendentemente dalla conta di cellule CD4+, anche lo sviluppo di malattie opportunistiche indica che l’AIDS è sopraggiunto (fonte).

Un individuo sieropositivo può evitare di ammalarsi se inizia ad assumere da subito i farmaci antiretrovirali. L’assunzione precoce di retrovirali può quindi evitare che l’infezione arrivi a sfociare nell’AIDS.

Il virus HIV si trasmette solo per via sessuale?

Il contagio per via sessuale – causato dal contatto con sperma o secrezioni vaginali di un soggetto sieropositivo – non è l’unico modo con il quale si può essere infettati da HIV. Esistono infatti altre due modalità di trasmissione del virus:

  • Ematica: si verifica in seguito al contatto diretto tramite tagli, ferite, siringhe con sangue o emoderivati del soggetto sieropositivo;
  • Verticale: in questo caso la madre infetta che presenta una carica virale alta può trasmettere l’infezione al feto durante la gravidanza o al neonato durante il parto o  durante l’allattamento;

È bene ricordare che HIV può penetrare nel corpo di un soggetto anche attraverso lesioni delle mucose non visibili a occhio nudo. Non è invece possibile per il virus infettare mediante il contatto con sudore, urina, saliva o lacrime di soggetti infetti, essendo la carica virale contenuta in queste secrezioni troppo bassa.

Si può contrarre l’HIV tramite il sesso orale?

Il contagio mediante rapporti orali con il proprio partner infetto può avvenire solamente se si entra in contatto con il suo sangue o le sue secrezioni corporee penetrano all’interno di ferite della bocca. Rischia il contagio il soggetto che pratica un rapporto orale, mentre il ricevente di norma non corre rischi. Si ricorda che anche nei rapporti orali si dovrebbe utilizzare il preservativo o altri tipi di protezione al fine di minimizzare il rischio di trasmissione anche di altre malattie sessualmente trasmissibili quali gonorrea, sifilide, clamidia, ecc.

Un sieropositivo può sempre trasmettere il virus?

Se la terapia antiretrovirale viene seguita dal paziente con la massima attenzione, il soggetto sieropositivo non sarà in grado di trasmettere il virus mediante rapporti sessuali non protetti (fonte), scambio di sangue o allattamento nel caso si tratti di una puerpera. La carica virale è massima nelle settimane seguenti l’infezione, mentre è bassa nei soggetti che sono in cura con i retrovirali e stanno portando avanti il trattamento.

Si definisce soggetto U=U (sigla che sta per “Undetectable=Untrasmittable“, ovvero “Non rilevabile=non trasmissibile“) il paziente che da almeno 6 mesi presenta una carica virale non misurabile.

Si consiglia di consultarsi sempre con il medico che supervisiona il trattamento e verifica i livelli di carica virale prima di avere rapporti sessuali non protetti anche se in trattamento.

Come funziona il test dell’HIV?

Si può scoprire se si è o meno sieropositivi solamente eseguendo il test per l’HIV, il quale tuttavia non è in grado di fornire un responso a poche ore o giorni di distanza dal contagio. Per tale motivo si consiglia di non assumere comportamenti che potrebbero mettere a rischio la salute altrui se si sospetta di aver contratto il virus e si è in attesa del risultato del test.

Esistono due tipi di test per l’HIV:

  • Test di III generazione: ricercano solo gli anticorpi contro l’HIV. Presentano una finestra temporale di 90 giorni dall’ultimo comportamento a rischio e sono in grado di segnalare l’infezione già dopo 3-4 settimane;
  • Test di IV generazione: si tratta di test combinati, che ricercano sia l’antigene p24 del retrovirus che gli anticorpi prodotto dal’organismo contro il patogeno. Per questi test si calcola una finestra temporale di 40 giorni dall’ultimo comportamento a rischio e segnalano l’infezione già dopo 20 giorni;

Esistono poi alcuni test rapidi che si acquistano in farmacia e restituiscono un risultato entro pochi minuti. È sufficiente eseguire l’esame su un campione di saliva o di sangue, in caso di esito positivo o dubbio si consiglia sempre di effettuare un secondo test mediante prelievo venoso (fonte).

I sieropositivi possono avere figli?

Se un soggetto positivo all’HIV (sia uomo che donna) è in cura con retrovirali con carica virale negativa, può avere rapporti non protetti e avere figli senza mettere a rischio né il partner né la prole.

I pazienti con AIDS rischiano di sviluppare tumori?

I soggetti con sindrome da immunodeficienza acquisita presentano maggiori probabilità di sviluppare tumori, nello specifico le due neoplasie più diffuse tra i pazienti con AIDS sono (fonte):

  • Linfoma non Hodgkin: cancro del tessuto linfatico, con un tasso di mortalità pari al 40-50% nelle forme più aggressive;
  • Sarcoma di Kaposi: si tratta di una neoplasia molto rara della pelle causata dall’herpesvirus umano 8 (HHV-8), non presenta un tasso di mortalità elevato;

La correlazione tra l’AIDS e altre malattie neoplastiche è ancora oggetto di studi.

I falsi miti più diffusi su HIV e AIDS

Di seguito sono presenti i 5 falsi miti più diffusi sull’AIDS e le ragioni per le quali non sono da ritenere attendibili.

1) Gli individui non eterosessuali sono più a rischio

L’orientamento sessuale e/o l’identità di genere di un individuo non determinano un rischio maggiore o minore di contrarre HIV e di ammalarsi in seguito di AIDS. Si tratta di un falso mito ancora molto diffuso, che è stato spesso usato come giustificativo per gli atteggiamenti discriminatori ai danni di uomini omosessuali o bisessuali e dei soggetti transessuali. Un uomo eterosessuale può ugualmente infettarsi se ha rapporti non protetti con una partner sieropositiva, se non segue una profilassi pre-esposizione da HIV o se entra in contatto con materiale ematico infetto, lo stesso vale per una donna eterosessuale. Tuttavia, il Ministero della Salute indica come più rischioso il rapporto anale rispetto a quello vaginale (ancor meno l’orale) (fonte).

2) Baciare un sieropositivo comporta il rischio d’infezione

L’HIV non si può trasmettere con la saliva, ne segue che baciare un paziente sieropositivo o uno che ha sviluppato l’AIDS non mette a rischio la salute dell’altro soggetto. L’unico modo con cui può avvenire il contagio prevede il contatto con il sangue fuoriuscito da una ferita o ulcera della mucosa orale, ma in assenza di questo elemento non si corrono rischi.

3) La tossicodipendenza è sempre un fattore di rischio per l’AIDS

Un tossicodipendente può contrarre l’HIV solamente se utilizza un ago precedentemente impiegato da un soggetto contagiato. Di conseguenza il consumo di cannabis, cocaina, ecstasy o altre droghe non iniettabili non costituisce un fattore di rischio. Ovviamente si tratta di dipendenze che possono causare danni di altra natura, pertanto si invita a non farne uso.

4) Le coppie monogame non sono a rischio di contagio

Come riportato in precedenza, chiunque può essere infettato dal virus. Anche se la promiscuità sessuale e il mancato utilizzo del preservativo aumentano le probabilità di contrarre HIV, anche una persona che ha rapporti solo con un partner fisso può contagiarsi e contagiare a sua volta. Negli anni ’80 e ’90 si verificarono moltissimi casi d’individui infettati in seguito a trasfusioni di sangue contaminato e che in un secondo momento hanno trasmesso l’infezione al coniuge. Ancora oggi la scoperta della sieropositività della propria moglie o del proprio marito non è necessariamente la prova della sua infedeltà.

5) I soggetti con HIV muoiono tutti prematuramente

Nel corso degli ultimi decenni sono state sviluppate molteplici terapie che permettono ai sieropositivi di non ammalarsi e ai malati di AIDS di avere un’aspettativa di vita simile ai soggetti sani. Ovviamente molto dipende dalla velocità con la quale si inizia il trattamento e dall’eventuale comorbilità con altre patologie acute o croniche e l’efficacia delle cure contro quest’ultime. Secondo uno studio del 2016 pubblicato su Lancet, l’aspettative di vita un ventenne sieropositivo che inizia subito le terapie è pari a 78 anni.

Pazienti AIDS e COVID-19

Nel corso della pandemia di COVID-19 le autorità sanitarie globali hanno fornito alcune linee guida per i soggetti siperopositivi e i malati di AIDS.

I pazienti sieropositivi rischiano di contrarre la COVID-19 in forma grave? 

Stando al parere dell’OMS, i soggetti con HIV che seguono il trattamento e presentano un numero di CD4+ superiore a 500 non correrebbero il rischio di sviluppare le forme più gravi di COVID-19. Di contro, i soggetti con un numero di CD4+ inferiore a tale soglia avrebbero maggiori probabilità di ammalarsi in maniera grave. Per limitare il rischio di contagio da SARS-CoV-2 si raccomanda la vaccinazione con tripla dose e il rispetto delle principali misure anti-COVID.

Quali sono le misure anti-COVID specifiche per i sieropositivi?

Al momento non sono previste misure specifiche per chi è sieropositivo. Pertanto si raccomanda l’utilizzo della mascherina, il lavaggio ricorrente delle mani, l’utilizzo di gel disinfettante e l’astensione da attività che comportino il rischio di assembramenti o contatto con persone potenzialmente infettate con il coronavirus.

Cosa deve fare una persona sieropositiva che presenta sintomi di COVID-19?

In primo luogo è bene eseguire un tampone al fine di confermare o meno la positività al coronavirus, in secondo luogo bisogna consultare il proprio medico in caso di referto positivo. In alternativa, si consiglia di telefonare ai numeri di pubblica utilità messi a disposizione dalle regioni.

I farmaci antiretrovirali proteggono dal SARS-CoV-2?

Al momento non è stata dimostrata l’efficacia dei farmaci antiretrovirali nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, si consiglia dunque di sottoporsi alla vaccinazione per minimizzare il rischio di contagio e lo sviluppo della malattia in forma severa.

Per consultare ulteriore materiale scientifico suggeriamo di consultare:

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