Effetto nocebo: cos’è e cosa si è scoperto sui vaccini anti-Covid

Recentemente uno studio pubblicato sulla rivista scientifica britannica Lancet che si prefiggeva di studiare gli effetti avversi in soggetti sottoposti a vaccinazione contro la COVID-19 rispetto alla somministrazione di un placebo, ha messo in luce il verificarsi di un effetto nocebo. Di cosa si tratta? Esaminiamo subito l’esito della ricerca e i motivi per i quali questa scoperta ricopre una grande importanza.

Effetto nocebo: cos’è e quali sono le cause

Il termine nocebo (che in latino vuol dire “nuocerò/farò male“) è utilizzato in medicina per identificare una sostanza innocua e priva di proprietà terapeutiche che può tuttavia causare nei pazienti che lo ricevono una serie di effetti collaterali. Questo termine è dunque opposto al placebo,  termine utilizzato per quelle sostanze prive di proprietà terapeutiche che innescano nel paziente un miglioramento di salute.

L’effetto nocebo si deve principalmente ad alcune cause di natura psicologica, quali:

  • Scarsa fiducia nella cura prescritta;
  • Diffidenza nei confronti del medico che la prescrive;

Si tratta dunque di un fenomeno alimentato dalle convinzioni personali del paziente, che spesso mostra uno scetticismo alimentato da credenze e falsi miti.

Effetto nocebo e vaccino anti-COVID: i risultati dello studio

Lo studio pubblicato su Lancet è stato condotto dai ricercatori della Brown University di Providence (USA) e dai colleghi provenienti da tre università europee, ovvero l’Università di Firenze, l’Università di Torino e l’Università di Atene. Per investigare sugli affetti avversi, i ricercatori hanno effettuato una revisione sistematica selezionando i trial di fase III con due vaccini a mRNA e un vaccino a vettore virale con adenovirus, rispettivamente:

  • Comirnaty (Pfizer-BioNTech);
  • Spikevax (Moderna);
  • Janssen (Johnson&Johnson);

Negli studi collegati ai primi due vaccini, i partecipanti erano 37.590 (circa l’85% del campione), mentre nel trial relativo al vaccino a vettore virale erano 6.736 i partecipanti allo studio (circa il 15% del campione). Tutti i trial prevedevano gruppi di controllo in cui si è somministrata soluzione fisiologica al posto del vaccino, senza che i pazienti sapessero se erano nel gruppo trattati con il farmaco o con il placebo. Tutte le reazioni avverse sono state annotate in registri elettronici entro una settimana dall’inoculazione del vaccino o della soluzione fisiologica. Si è provveduto a riportare anche gli eventi indesiderati gravi comparsi entro 28 giorni dalla somministrazione.

Nei soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA o vettore virale le reazioni avverse sono state ripartite nel seguente modo:

  • Dolore nel sito d’iniezione: Comirnaty (79%), Spikevax (84%), Janssen (49%);
  • Mialgia: Comirnaty (18%), Spikevax (23%), Janssen (13%);
  • Affaticamento: Comirnaty (43%), Spikevax (37%), Janssen (38%);
  • Mal di testa: Comirnaty (35%), Spikevax (33%), Janssen (39%);

Tra i soggetti ai quali è stata somministrata solo soluzione fisiologica invece del vaccino indicato, le reazioni avverse segnalate non sono state prossime allo zero (come qualcuno si aspetterebbe per la somministrazione di un placebo), ma sono state le seguenti:

  • Dolore nel sito d’iniezione: Comirnaty (12%), Spikevax (17%), Janssen (17%);
  • Mialgia: Comirnaty (10%), Spikevax (14%), Janssen (13%);
  • Affaticamento: Comirnaty (29%), Spikevax (27%), Janssen (21%);
  • Mal di testa: Comirnaty (27%), Spikevax (27%), Janssen (24%);

indicando appunto il manifestarsi di un effetto nocebo.

Cosa mostrano i risultati dello studio?

Dai dati raccolti dai trial, emergerebbe che i soggetti giovani con età compresa tra i 18 e i 55 anni siano i più interessati dall’effetto nocebo al pensiero della vaccinazione contro il coronavirus. Il divario tra l’incidenza delle reazioni avverse nei soggetti che hanno ricevuto la soluzione fisiologica e quelli vaccinati con i vaccini anti-COVID resta notevole. Tuttavia, gli esperti sembrano avanzare l’ipotesi che vede colpiti dall’effetto nocebo anche una piccola percentuale di pazienti che si sono sottoposti alla vaccinazione.

Come spiegano i ricercatori, questo studio è molto importante perché contribuirebbe a tranquillizzare quanti non si sono ancora vaccinati contro la COVID-19 perché timorosi di reazioni avverse gravi.

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